Installazione di Alessandro Giampaoli, performance di e con Michele Giovanelli e Alessandra Zanchi con la partecipazione di Daniele Iavarone, testi Debora Ricciardi, voci Clio Gaudenzi e Daniele Iavarone ANTEFATTO "I piedi dell'uomo non occupano che un piccolo spazio di terra, ed è grazie a tutto lo spazio che non occupa che l'uomo può camminare sulla terra immensa. L'intelligenza dell'uomo non penetra che un particolare della verità, ma è grazie a ciò che non penetra che l'uomo può comprendere il cielo." Chuang-Tzu ATTO I - PER UNA VOCE SOLA Vi osservo, silenzioso, mentre curvi arrancate per le strade, con la testa di piombo e cavi gli occhi. Opachi andate, ciondoloni, su piedi stanchi e abitudinari, senza mai raggiungere il luogo, perché avete smesso di ascoltare il vento. Eppure sono presente nei vostri labirinti di tormento e mi faccio punto esclamativo, dolce curva, a volte arco, piccolo nido e rifugio. Ma forse non è sufficiente. Neppure basta che siamo simili per natura, per forma, per comportamento. Mi arrendo. Mi lascio andare, preferisco un ritorno all'acqua salata che mi alleggerisca dalle pene dell'uomo distorto. Imbibito della sostanza vitale, arso dal fuoco del sole, rinasco per essere di nuovo luce e chiamare il femminile ed il maschile ad unirsi in una danza archetipa in armonia col cosmo. Vento, con la tua voce pregna di storie, densa di presagi, tappeto volante di occasioni perdute, trasporti semi di fertilità e lasci tracce scomposte di passi incerti sull'inutile mappa del destino. Ad accarezzarti una sola nota, la stessa nota, continua, assidua persecutrice, lingua spezzata interprete di volontà troppo deboli per esternarsi in prese di coscienza. Eppure tu sei flebile suggeritore dell'esistenza di quell'indefinito, l'àpeiron, nel quale eravamo immersi prima di trasformarci in individui, fusi con l'indistinto, in osmosi con la Natura che ci ha generati, consapevoli che non saranno né colpi di reni ben assestati né resistenze impavide di ruvide unghie sulla terra ad arrestare il sacro metronomo. ATTO II - EPIFANIA Avvolgere terra e cielo in un unicuum perfetto, come fa l'albero nella sua storia e porre tutta "l'attenzione nel nervo, delicato come il gambo del loto, nel centro della spina dorsale, e in quello trasformarsi"(Vigyan Bhairav Tantra): questa è la chiave. Germoglio incondizionato nasci timido, affondi radici e trai linfa dalla terra. Lentamente cresci tutto teso verso la luce, glorioso nel tuo ondeggiare che veste i sibili del vento di applausi costanti. E' così che il femminile ammanta l'albero mozzato di nuova vita, in un sinuoso abbandono di antica memoria. Sale e si scioglie in ampi archi di braccia simili a rami nodosi che scrivono nell'aere parole invisibili. Solo ora il principio maschile interviene, saldo, a placare la passionale estasi del femminile, che lieve continua in un solenne rito gestuale ad amare sé, nell'accogliersi con un abbraccio stretto, e ad amare l'altro, nell'accoglierlo con un respiro di spazio perfetto di simmetrie anatomiche speculari. Ma per arrivare all'intreccio il cammino deve essere in solitaria, nell'ascolto di sé. Se l'uno in obliquo cerca la terra come spinto da quella forza gravitazionale che l'ha espulso dal grembo per entrare nel mondo, l'altro si cerca nel vuoto e attende. Il contatto avviene per assenza di sguardi, tra schiena e schiena, rivolti verso un orizzonte di rinascita che li attende. Poi la buia certezza del preambolo del divenire che semina plumbee foglie annerite d'edera, distillato di un antico messaggio benaugurale ormai tramutato in soffocante parassita, macchia nera antagonista che, isolata nella singolare forma a palmo di mano, riecheggia la sua antica premura di coperta umida, piccola selva protettiva per forme di vita impercettibili. Le foglie di edera, nere chimere, cadono a terra come brandelli di cenere a segnare la via, l'unica via, interrotta dallo stridere del metallico suono, ridondante nella forma geometrica, superfetazione artificiale di un albero algebrico e sinistro. Pausa assurda nel colmo di una delizia perfetta, ricompone il viaggio il disperdersi delle foglie notturne, figlie uniche, amanti dello stesso tronco dal quale nasceranno i rami di quercia lunari a celebrare quell'unione mistica che racchiude in sé il più grande dono della vita: l'epifania della Natura. Debora Ricciardi