Il genocidio del Ruanda fu uno dei più sanguinosi episodi della storia del XX secolo. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati) tra 800.000 e 1.000.000 di persone. Il genocidio, ufficialmente, viene considerato concluso alla fine dell'Opération Turquoise, una missione umanitaria voluta e intrapresa dai francesi, sotto autorizzazione ONU. La percezione di una divisione etnica da parte della popolazione del Ruanda è in gran parte un effetto del dominio coloniale europeo, prima tedesco e poi belga, nonché di precise scelte operative dei missionari, nello specifico dei Padri Bianchi. I coloni introdussero le carte di identità e iniziarono a classificare rigidamente i ruandesi in funzione del loro status sociale e delle loro caratteristiche somatiche, in particolare distinguendo chiaramente fra Hutu e Tutsi. I Tutsi, in genere più ricchi e compiacenti, furono favoriti. L'antropologia razzista teorizzò che i Tutsi fossero una razza diversa dagli Hutu, intrinsecamente superiore in quanto più vicina a quella caucasica. Il fatto che Tutsi e Hutu siano due gruppi etnici distinti è stato oggetto di un notevole dibattito, e oggi l'ipotesi di un'importante differenza di origine etnica viene raramente presa in considerazione. La storia del genocidio ruandese è anche la storia dell'indifferenza dell'Occidente di fronte ad eventi percepiti come distanti dai propri interessi. Emblematico fu l'atteggiamento dell'ONU che si disinteressò del tutto delle tempestive richieste di intervento inviategli dal maggiore generale canadese Roméo Dallaire comandante delle forze armate (2.500 uomini, ridotti a 500 un mese dopo l'inizio del genocidio) dell'ONU. In Ruanda come in Burundi, i Tutsi rappresentavano l'aristocrazia della società, e possedevano la terra e il bestiame; mentre gli Hutu svolgevano il lavoro agricolo. I belgi hanno ulteriormente allargato e alimentato la differenza tra questi due gruppi. Il genocidio del 1994 si inserisce in un contesto di rivalità etniche bilaterali e stermini di massa che coinvolsero l'intera regione fin dal 1962, per continuare anche dopo il 1994. Teatro degli eccidi, oltre al Ruanda, sono stati tutti i paesi confinanti: l'Uganda a nord, il Burundi a sud (che costituiva, insieme al Ruanda, la colonia belga Ruanda-Urundi), il Congo ad ovest e la Tanzania ad est.