Le guerre che ho visto (Mirko Salvador) Tante sono state le guerre che ho viste e tante le morti e poi le albe. Ed ogni volta ho imparato. E le famiglie che mi hanno accudito e le mie caritatevoli madri a cui rivolgo gratitudine di figlio adulto e profondo amore e altre famiglie mi hanno cacciato, lontano dai loro cuori di pietra e lacrime di rabbia. E le distrazioni da cui sono stato rapito per cui ho venduto e vinto e fatto soffrire. E i tramonti in oriente e i vagabondaggi del Giappone dove ho visto gli aironi e i mari solcati sulle navi dalle vele gonfie di vento, e le giornate di bonaccia in cui impazzivamo di sete e le nostre paure da esorcizzare con un cameratismo selvaggio. E gli otri di olio, di vino rubino ancora acceso dal sole e sabbia e i tessuti speziati. E i principî che tagliano la lingua, le lacrime, il loro vero peso sul cuore. Il tribunale che m'ha condannato e la cecità del primo boia, la schiettezza di chi m'ha torturato per aver ordito alle spalle del loro feticcio. E le bocche che ho cucito con del grezzo filo d'orbace provandone piacere per non sentire più la verità frammischiata con la loro santa saliva che a me invece ricordava le capre. E i muscoli recisi per saggiarne la tempra. Le pitture selvagge con cui scagliavamo il nostro profondo dissenso e dicevamo no a tutto. E schernivamo ad ogni occasione ogni essere umano e la follia delle masse dormienti. Le sigarette fumate al tramonto davanti al porto di Orano. Il sesso vissuto e quello raccontato e la nostalgia dei gabbiani in volo verso Nord e il loro misterioso richiamo. E le tenaglie scarlatte con cui ho attraversato il nero mare dell'oscuro periodo. Il bruciare della candela alla cui fiamma la cera sciolta avvolge il suo silente lamento di pesce. Come neve bollente. Come se le mani calde soffocassero una passione che non si vuole donare ma è presa con forza. E i libri scritti a mano, e l'esilio, e la ferocia di cui sono stato capace. I miei denti hanno affondato nelle carni di bianche cosce sudate e i rimorsi che sbarrano gli occhi e ardono in gola. Ed i miei cento figli. E chi mi ha amto e chi ripudiato. Chi ancora con gli occhi secchi davanti alla mia bara e le labbra serrate mentre regge la madre. E chi invece in un'altra città mordeva il rancore. E le mie dolci bambine cui carezzo ora il tenero viso portandolo al petto e che ho abbandonato al destino della vita. E le donnacce e le sgualdrine, e il vino, e i giochi con cui ho distrutto la fiducia degli amici. I tradimenti, le suore, la puttana e la stanza in cui piange da sola a ripetersi che domani andrà meglio e in questo modo lasciarsi morire. E gli ospedali ricolmi di dolore e arti amputati, e la trincea, l'odore d'urina e la puzza di merda. Un fratello da amare, una casa che m'aspetta. Sono tornato come figlio ma più grande di mio padre. E le grandi città e la pazzia di quel tempo che ancora scintilla come luce sbiadita di un faro lontano perso nella nebbia del tempo. E di tutti i lutti quelli senza una causa. E le foglie appassite il cui ambrato colore nell'umida terra si fonde in autunno. E poi il gelo degli inverni. Il bestiame affamato e la carestia di dicembre. Lo scoppiettare della legna all'aperto vicino alla grande quercia sotto un pallido sole e mio nonno che tace e non maledice perchè accetta la vita che porta con sè anche la morte. E lo strazio di mia madre nella città bombardata quando le truppe dirigono la paura delle masse. E poi i fuochi che si alzano imponenti sulle nubi e il riverbero del piombo sul rosso cielo di Varsavia. E il ferro, e il porco sorriso del denaro e i suoi schiavi e dei padroni che spartiscono le terre. E come soldato ho il viso scarno e gli occhi cavi e volo su Dresda e sono stordito a Kadesh, pazzo alle porte di Hattin, come disertore decimato al confine con l'Austria. Generale di pezza o povero cristo. E i sorrisi inaspettati del bambino di cui son figlio in un prato assolato. Taccia la mia stanca bocca e sia rapito il mio essere allo sbocciare della solitaria rosa. E le perle, i tesori tutti e il profumo del mare e gli abbracci di primavera e i richiami dell'oceano e la sua possente risacca di sale. E le notti d'amore. E il cielo e le stelle fiammeggianti. La loro antica lingua che solo ora comincio a sentire. E in questa casa e nella sua coltivata solitudine ora mi ritiro. E agli astri mi accordo e lascio i ricordi. Il mio respiro s'abbandona al presente e scorda il sognare e nasce e muore e sempre torna il solo momento che resta celato. ...segue.....