Alessandro Burbank, rive dell'Isonzo, alba del 24 maggio 2015 - Le notti chiare erano tutte un'alba Rivolgersi agli ossari (Andrea Zanzotto) Rivolgersi agli ossari. Non occorre biglietto. Rivolgersi ai cippi. Con il più disperato rispetto. Rivolgersi alle osterie. Dove elementi paradisiaci aspettano. Rivolgersi alle case. Dove l’infinitudine del desìo (vedila ad ogni chiusa finestra) sta in affitto. E la radura ha accettato più d’un frondoso colloquio ormai, dove, ahi, si esibì la più varia mostra dei sangui il più mistico circo dei sangui. Oh quanti numeri, e rancio speciale. Urrah. Vorrei bucarmi di ogni chimica rovina per accogliere tutti, in anteprima, nello specchio medicato d’infinitudini e desii di quel circo i fermenti gli enzimi dentro i succhi più sublimi dell’alba, dell’azione, in piena diana. E si va. E si va per ossari. Essi attendono gremiti di mortalità lievi ormai, quai gemme di primavera, gremiti di bravura e di paura. A ruota libera, e si va. Buoni, ossari – tante morti fuori del qualitativo divario onde si sale a sicurezze di cippo, fuori del gran bidone (e la patria bidonista, che promette casetta e campicello e non li diede mai, qui santità mendica, acquista). Hanno come un fervore di fabbrica gli ossari. Vi si ricevono ordini, ordinazioni eterne. Vi si smista. All’asilo, certi pazzi-di-guerra, ancora vivi allevano maiali; traffici con gli ossari. Mi avete investito, lordato tutto, eternizzato tutto, un fiotto di sangue. Arteria aperta il Piave, né calmo né placido ma soltanto gaiamente sollecito oltre i beni i mali e simili e tutto solletichìo di argenti, nei suoi intenti, a dismisura. Padre e madre, in quel nume forse uniti tra quell’incoercibile sanguinare ed il verde e l’argenteizzare altrettanto incoercibili, in quel grandore dove tutti i silenzi sono possibili voi mi combinaste, sotto quelle caterve di os-ossa, ben catalogate, nemmeno geroglifici, ostie rivomitate ma come in un più alto, in un aldilà d’erbe e d’enzimi erbosi assunte, in un fuori-luogo che su me s’inclina e domina un poco creandomi, facendomi assurgere a Così che suono a parlamento per le balbuzie e le più ardue rime, quelle si addestrano e rincorrono a vicenda, io mi avvicendo, vado per ossari, e cari stinchi e teschi mi trascino dietro dolcissimamente, senza o con flauto magico Sempre più con essi, dolcissimamente, nella brughiera io mi avvicendo a me, tra pezzi di guerra sporgenti da terra, si avvicenda un fiore a un cielo dentro le primavere delle ossa in sfacelo, si avvicenda un sì a un no, ma di poco differenziati, nel fioco negli steli esili di questa pioggia, da circo, da gioco.