Campli, oltre ai suoi beni culturali, ha saputo conservare anche una grande tradizione gastronomica, un'archeologia culinaria d'irresistibile bontà, una vera opera d'arte del palato, un monumento del gusto regalato all'intera umanità: la porchetta. La tradizione della porchetta antica a Campli è radicata in tempi lontani, differenziandosi per la semplicità degli ingredienti di aromatizzazione. Solo nel circondario camplese, a differenza del resto dell'Abruzzo e dell'Italia, non si adopera il finocchio, perché la porchetta si aromatizza semplicemente con sale, aglio, rosmarino, pepe e (per qualcuno) poco peperoncino. I maestri porchettai camplesi, da secoli, hanno imparato a esaltare il sapore delle carni del maiale sia con questi ingredienti, sia con un procedimento di preparazione raffinata e semplice al tempo stesso. Già negli "Statuti della città di Campli", ricostituiti nel Cinquecento da Margherita d'Austria (ma di origini medioevali) sono dedicati due articoli specifici all'uso della porchetta. In uno si stabiliscono le regole per la vendita e il prezzo. Nell'altro si stabilisce la gabella per la vendita in loco e "fora del nostro territorio". Questo è un concetto esplicito: i porchettai camplesi vendevano il loro prodotto anche fuori il territorio, nonostante i dazi e le leggi favorevoli al consumo interno dei prodotti. Solamente negli statuti antichi di altre quattro città teramane (Teramo, Atri, Silvi e Penne) si nomina la porchetta, ma in un unico articolo e in modo più sommario rispetto a quanto scritto nello Statuto di Campli. La stessa feudataria Margherita d'Austria, sposata in seconde nozze (1538) con Ottavio Farnese duca di Parma e Piacenza (città nelle quali l'allevamento dei maiali era praticato fin dai tempi di Roma), sicuramente contribuì a migliorare l'allevamento e la razza del maiale secondo le esigenze dei maestri porchettai camplesi. Ancora precedentemente i Benedettini prima e i Francescani poi, nella loro opera di evangelizzazione apportarono nei luoghi camplesi (ove erano presenti con numerosi conventi), come in tutta l'Italia e l'Europa, nuove tecniche di agricoltura, nuove e migliori sementi, animali d'allevamento più produttivi. L'arte dei mastri porchettai camplesi, poi, poté sfruttare l'opulenza della città. Infatti, già nel 1293 Campli poteva vantare un mercato settimanale, allora raro, e diverse fiere durante l'anno. In queste occasioni le porchette erano vendute nelle piazze e nelle vie della città. I viandanti e i commercianti venuti da fuori dovevano conoscere la prelibatezza del prodotto culinario dei maestri porchettai camplesi, e magari ne vantavano la bontà in altri luoghi, borghi e città limitrofi. Non a caso, secondo gli Statuti camplesi antichi, la porchetta era un prodotto tutelato perché poteva essere venduta solo dopo che il Camerlengo ne aveva accertato la qualità e stabilito il prezzo. Ancora nei "Regolamenti Municipali" del 1877 si fa riferimento "ai prochettai", a testimonianza di quanto questi artigiani erano ancora considerati nell'ambito dell'economia locale. A Campli la scelta del maiale, la preparazione e la cottura erano, come ancora oggi, i tre momenti fondamentali per la buona riuscita della porchetta. La scelta del porco, la disossatura, i tagli per l'aromatizzazione, la sbollentatura e la cottura, si tramandano di padre in figlio, da maestro ad allievo. La porchetta, cotta nei forni a legna per sei otto ore, si deve presentare con una croccante crosta che, oltre a migliorare la qualità degustativa della carne, ha una funzione decisiva per la buona cottura. La crosta all'inizio trattiene il grasso del maiale che, amalgamandosi con le spezie e il sale, insaporisce al meglio la carne. Successivamente man mano che s'indora la crosta permette al grasso di colare, regolando così alla perfezione la cottura e l'aromatizzazione omogenea della porchetta. La sbollentatura con acqua salata, aglio e rosmarino, fatta all'interno e all'esterno del maiale disossato, è il segreto della procedura: le cellule della carne, infatti, al contatto con il calore si compattano e formano una specie di invisibile pellicola che, all'inizio della cottura, aiuta a trattenere il grasso delle carni e a trasformare la cotenna in crosta. L'altro segreto della cottura è il forno a legna, che all'inizio ha una temperatura "sostenuta", capace di indorare la porchetta (è un momento delicato, si copre la porchetta con carta o si unge con strutto o lo stesso suo "sugo"), poi più mite e costante. Una cottura che richiede dalle 6 alle 8 ore. Oggi con i moderni forni è possibile simulare alla perfezione la cottura del forno a legna, ma anche in questo caso bisogna essere esperti, perché per ogni maiale porchetta bisogna rispettare una propria procedura di cottura. Articolo tratto da: "Campli Nostra Notizia", a.VI, n.26, luglio-settembre 2008, p.4 Francesca Farina