La tortura è un metodo di coercizione fisica o psicologica, talvolta inflitta con il fine di punire o di estorcere delle informazioni o delle confessioni; molte volte accompagnata dall'uso di strumenti particolari atti ad infliggere punizioni corporali. In ambito di diritto penale preclassico non si considera una punizione ma un mezzo di prova. Ampiamente presente sin dall'antichità e presso tutte le culture, ebbe diffusione anche in Europa dal Medioevo all'età moderna. Nel corso dei secoli furono inventati nuovi metodi di tortura, nel tentativo di rendere quest'ultima sempre più efficace. « Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio. » "Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa". Cesare Beccaria: Dei delitti e delle pene: Della tortura "Una crudeltà consacrata dall'uso nella maggior parte delle nazioni è la tortura del reo mentre si forma il processo, o per constringerlo a confessare un delitto, o per le contraddizioni nelle quali incorre, o per la scoperta dei complici, o per non so quale metafisica ed incomprensibile purgazione d'infamia, o finalmente per altri delitti di cui potrebbe esser reo, ma dei quali non è accusato. Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch'egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata. Quale è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la podestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente?Non è nuovo questo dilemma: o il delitto è certo o incerto; se certo, non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, ed inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, e' non devesi tormentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i di cui delitti non sono provati. Ma io aggiungo di piú, ch'egli è un voler confondere tutt'i rapporti l'esigere che un uomo sia nello stesso tempo accusatore ed accusato, che il dolore divenga il crogiuolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle fibre di un miserabile. Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti. Ecco i fatali inconvenienti di questo preteso criterio di verità, ma criterio degno di un cannibale, che i Romani, barbari anch'essi per piú d'un titolo, riserbavano ai soli schiavi, vittime di una feroce e troppo lodata virtú. "